marino

Zuccherificio

Nome attuale: Ciminiera ex Zuccherificio
Nome originale: Zuccherificio

Città: Cesena
Frazione: ambito urbano
Indirizzo: angolo via Niccolò Macchiavelli via Italo Calvino

Anno di realizzazione: 1899
Progettista: ing. Giuseppe Müller
Committenza: Società Generale per lo Zucchero Indigeno
Stile architettonico: architettura Industriale

Interno visitabile: no
Note: la Ciminiera dell’ex Zuccherificio è inserita in un itinerario dedicato in questa guida
edificio catalogato dalla Soprintendenza come di rilevanza storico artistica (ciminiera)

La zona dello Zuccherificio di Cesena come si presenta oggi.

I primi esperimenti di coltura della barbabietola da zucchero nella provincia di Forlì-Cesena ebbero inizio negli ultimi anni dell’Ottocento, ma la coltivazione vera e propria partì nel Novecento quando furono avviate le attività dei grandi zuccherifici di Forlì e di Cesena. L’iniziale ritrosia dei coloni ad abbandonare la coltivazione del granoturco a favore della nuova opportunità fu superata con un po’ di fatica, ma già negli anni Venti la dolce radice conobbe uno sviluppo sostanziale in superficie coltivata. Per molti decenni la barbabietola sarà una pianta fondamentale nell’economia agraria di tutta la Romagna. I coloni, oltre a contare sugli incassi legati al prodotto primario che cedevano allo Zuccherificio, potevano contare sui prodotti di scarto, i cosiddetti cascami, che venivano impiegati per l’alimentazione del bestiame. Lo Zuccherificio garantiva inoltre numerose centinaia di posti di lavoro stagionali. Il lavoro all’interno dello stabilimento era però durissimo.

Lo Zuccherificio di Cesena in funzione. Immagine d’epoca.
Lo Zuccherificio di Cesena visto dal ponte Nuovo, 1938.

Su progetto dell’ing. Giuseppe Müller, nel 1899 fu avviata la costruzione degli impianti dello Zuccherificio di Cesena. L’edificio, completo di macchinari di produzione cecoslovacca, comportò un costo di costruzione di 2 milioni di lire. Era di proprietà della “Società Italiana Industria Zuccheri” che in seguito divenne “Società Romana Zuccheri: un’azienda del Gruppo Maraldi di Cesena con sede nella Capitale. La sua maggioranza azionaria apparteneva alla “Società Anonima Eridania Zuccherifici Nazionali” di Genova. Il complesso era costituito da tre gruppi di edifici. Un nucleo originario, sviluppatosi in posizione centrale attorno alla ciminiera, conteneva gli impianti di lavorazione della barbabietola, mentre due capannoni poco distanti venivano utilizzati come magazzini di deposito. Alcuni edifici minori realizzati lungo il margine del fiume Savio completavano la struttura produttiva. Lo stabilimento, che fu danneggiato durante il secondo conflitto mondiale, svolse la sua ultima campagna saccarifera nel 1978. La sua chiusura fu decretata dal fallimento dell’azienda proprietaria. In seguito ad un intervento di riqualificazione della zona avviato nel 1989, nel 1995 il complesso produttivo fu demolito. Dello stabilimento sono stati conservati due edifici di servizio e la ciminiera in mattoni. Quest’ultima è stata dichiarata di interesse culturale nel 2006.

La zona dello Zuccherificio di cesena come si presenta oggi.

Interminabili file di carri e autocarri colmi di barbabietole attendevano l’ingresso agli stabilimenti dello Zuccherificio. Era un traffico più intenso del solito, una situazione che durava 30/40 giorni nel periodo estivo/autunnale. Nel lontano 1932 il caso finì anche sul giornale. Nell’occasione il giornalista paragonò quel traffico temporaneo ad una Babilonica bolgia infernale. L’accaduto si propone oggi con uno sfondo quasi comico, ma la sua immagine rende con chiarezza quanta partecipazione avesse la coltivazione della barbabietola e quante realtà agricole fossero coinvolte nell’attività saccarifera.

Stazione Ferroviaria

Nome attuale: Stazione ferroviaria (fabbricato viaggiatori)
Nome originale: Stazione ferroviaria

Città: Cesena
Frazione: Ambito Urbano
Indirizzo: piazza Giorgio Sanguinetti, n. 192, 196, 200, 204, 208, 212, 216, 220, 224.

Anno di realizzazione: 1925 – 1929
Progettista:
Committenza: pubblica
Stile architettonico: Eclettismo classico

Interno visitabile: il solo piano terra
Note: la Stazione ferroviaria è inserita in un itinerario dedicato in questa guida
edificio catalogato dalla Soprintendenza come di rilevanza storico artistica
sulla facciata è presente un orologio a stemma sabaudo
atrio neoclassico con ornamenti (cornici, fasce e medaglioni)

La stazione ferroviaria di Cesena

L’ipotesi di realizzare il tratto ferroviario Bologna-Ancona risale al 1846 quando Cesena era sotto il dominio dello Stato pontificio. In seguito all’Unità d’Italia vennero apportate delle modifiche al progetto e il 10 novembre 1861 fu inaugurato l’intero tracciato. La prima Stazione di Cesena risale al periodo 1856-1861. Col passare del tempo l’antico edificio, ancora oggi esistente accanto al nuovo, venne considerato di dimensione insufficienti per il traffico dei viaggiatori e soprattutto delle merci. A ridosso della stazione, lato città, vi era infatti il CIA (Consorzio Industrie Agrarie), divenuto poi Arrigoni, e dalla parte opposta lo stabilimento della Motecatini che lavorava lo zolfo grezzo proveniente dalle miniere di Perticara e Formignano. Si ha notizia di un binario dedicato allo zuccherificio. Nel 1919 venne approvato un progetto di ampliamento e domenica 15 febbraio 1925 ci fu la posa della prima pietra.

Il corteo delle autorità dirette al cantiere della nuova stazione di Cesena per la posa della prima pietra. 1925.
La nuova stazione ferroviaria di Cesena appena ultimata.

Quel giorno fu inaugurato l’acquedotto con una manifestazione in piazza Vittorio Emanuele. Dopo un colpo di cannone l’acqua fu fatta zampillare dalla fontana Masini che, racconta la stampa di allora, da circa vent’anni dormiva avvilita. Al termine della benedizione un gremito corteo con in testa le autorità seguite dai cittadini con le musiche e i vessilli al vento, si portò al cantiere della nuova stazione. Dopo alcune parole declamate dall’assessore, il vescovo calò la prima pietra del nuovo edificio che sarebbe andato a testimoniare, puntualizza il giornale, l’aumentata ricchezza della nostra città. La nuova stazione entrò in funzione nel 1929.

Un treno viaggiatori con locomotiva a vapore in partenza della stazione di Cesena. 1935.
Mezzi incolonnati all’esterno della stazione ferroviaria di Cesena. Foto d’epoca.

La stazione ebbe però una prima virtuale inaugurazione nell’ottobre 1927 in occasione del quinto annuale della marcia su Roma e nel 1928 una delegazione dai gerarchi di Forlì visitò i lavori ancora in completamento. Nell’occasione fu presentata la sistemazione del nuovo ristorante allestito con signorile buon gusto. L’attività sarà gestita da una figura leggendaria della cultura gastronomica cesenate e romagnola: Aldo Casali. Ci auguriamo – scrive Il Popolo di Romagna – che anche dalla nuova stazione abbiano ampia diffusione i cestini di Cesena, perché hanno il raro pregio di non rovinare lo stomaco. Casali divenne famoso proprio per l’invenzione dei cestini ferroviari venduti ai passeggeri in transito da personale in tenuta impeccabile da cameriere. Il cestino era curatissimo nella composizione e forniva una testimonianza della terra di Romagna e dei prodotti agricoli di cui Cesena era regina. Il modo gioviale e teatrale del ristoratore di imporre i propri menù ai turisti in trattoria darà vita al termine “dittatura gastronomica”, una brillante trovata che lo accompagnerà per molti anni nelle pubblicità del dopoguerra. La città di Cesena gli ha dedicato una piazza.

Cartolina pubblicitaria della nuova sede del ristorante Casali realizzata nelle vicinanze della Stazione ferroviaria.

La facciata della “Stazione ferroviaria” si presenta con archetti classici sulle aperture di accesso al piano terra, mentre le finestre del piano primo sono incorniciate in cotto. Alla sommità il frontone presenta un orologio e uno stemma sabaudo un tempo sormontato da una corona. Le lesene sono sporgenze dei pilastri.

Ex Arrigoni

Nome attuale: Ex Arrigoni
Nome originale: CIA (Consorzio Industrie Agrarie) poi  Arrigoni

Città: Cesena
Frazione: ambito urbano
Indirizzo: edifici su piazza Aldo Moro e piazzale Karl Marx

Anno di realizzazione: 1920 – 1922, ampliamenti successivi
Progettista:
Committente: CIA Consorzio Industrie Agrarie – Azienda Arrigoni
Stile architettonico: architettura industriale

Interno visitabile: compatibilmente all’uso scolastico (Liceo scientifico). Parte dell’edificio compreso fra piazza Aldo Moro e piazzale Karl Marx non visitabile

Note: l’ex Arrigoni è inserita in un itinerario dedicato in questa guida
al suo interno maturò un sentito spirito antifascista
molti operai aderirono alla Resistenza

Alcune strutture superstiti dello stabilimento “Arrigoni” oggi ospitano ambienti scolastici e universitari.

La società “Arrigoni”, una delle più importanti industrie alimentari italiane del Novecento, nacque a Isola d’Istria nel 1855 da un’idea di Gaspare Arrigoni. La sua sede venne trasferita a Trieste e in seguito numerosi opifici furono realizzati nel territorio italiano. Sulla “Guida all’Autarchia” del 1940/41, edita dal Circolo della Stampa di Milano, l’azienda viene così descritta: Conserve alimentari Arrigoni -Trieste. Stabilimenti: Cesena, Isola d’Istria, Sesto Fiorentino, Lussinpiccolo, Unie, Fasana, Umago, Grado, Cattolica. – Antipasti, estratti di carne e dadi per brodo – Marmellate e frutta sciroppata – Ortaggi evaporati – Pesci conservati – Concentrati e salsine di pomodoro. (Esportazione in 84 Paesi di tutto il mondo). La sua attività in Cesena fu avviata grazie all’acquisizione del CIA, il “Consorzio Industrie Agrarie” che navigava in brutte acque.

Pubblicità del Consorzio Industrie Agrarie di Cesena del 1927.

Il CIA inaugurò il primo stabilimento nel 1921 avviando le lavorazioni con un impianto di essicazione della frutta, degli erbaggi, di piante aromatiche e medicinali. Nel 1922-23 vennero aggiunti nuovi impianti di lavorazione del fresco, lo scatolificio, la litografia su latta, la segheria per gli imballaggi e la distilleria. Nel 1927 Giorgio Sanguinetti, che dirigeva la società “Arrigoni” di Trieste, acquistò il CIA che aveva subito una forte crisi finanziaria.
Nel maggio del 1930 giunse a Cesena “l’Autotreno della propaganda Arrigoni”, un’innovazione nel campo della promozione commerciale. Era nato, come racconta la stampa del periodo, per intraprendere un giro che porti alla valorizzazione dei nostri dei nostri magnifici prodotti dell’Agricoltura, della Pesca e dell’Industria. Nella piazza centrale, allora Vittorio Emanuele, l’autotreno proiettò interessanti pellicole Luce distribuite in tre grandi schermi. La piazza era letteralmente affollata. L’esperimento pubblicitario aveva dato i frutti sperati.
Negli anni Trenta sotto la guida di Sanguinetti l’ “Arrigoni” diventò la fabbrica alimentare più importante del circondario arrivando a contare circa 5000 addetti nel 1943.

Lo stabilimento Arrigoni in un’ immagine d’epoca.
L’ingresso dell’Arrigoni sul viale della stazione. Immagine del secondo dopoguerra.

L’ “Arrigoni” non fu importante solo dal punto di vista economico ma anche sotto l’aspetto politico. Fu, infatti una fucina di antifascismo. Diversi furono gli scioperi al suo interno nel ’43 e nel ’44. Molti operai aderirono alla Resistenza e molti prodotti dello stabilimento andarono a sfamare le brigate partigiane. La famiglia Sanguinetti, di origine ebrea, fu vittima delle persecuzioni. Bruno Sanguinetti, figlio di Giorgio, fu attivo nella Resistenza.

Tra il 1964 e il 1967 la fabbrica venne trasferita nel nuovo stabilimento di Pievesestina e in quel periodo prese avvio il ripensamento dell’intera superficie con importanti demolizioni. Dell’ex fiorente industria, realizzata per chiari motivi nelle vicinanze della stazione ferroviaria, oggi rimangono solo la ciminiera e alcuni edifici adibiti a istituti scolastici e universitari. Il sito è attualmente oggetto di nuova progettazione.

Lo stabilimento “Arrigoni” in una veduta aerea del 1960.
Lo stabilimento “Arrigoni” prima delle demolizioni. 1980.

Fiat Antonelli

Nome attuale: Concessionaria FIAT Antonelli
Nome originale: Garage e officina FIAT rag. Silvio Antonelli

Città: Cesena
Frazione: ambito urbano
Indirizzo: via Dante Alighieri, viale Guglielmo Oberdan 459, 481

Anno di realizzazione:  1937-1938
Progettista: ing. Mario Antonelli
Committenza: Silvio Antonelli
Stile architettonico: Razionalista

Interno visitabile: su richiesta
Note: la Fiat Antonelli è inserita in un itinerario dedicato in questa guida
parte dell’edificio presenta ancora infissi originali, pavimenti e finiture d’epoca

La “Fiat Antonelli” in un’immagine moderna.

La “Concessionaria FIAT” fu costruita nel 1938 in una zona della città ancora destinata all’agricoltura. Il modernissimo garage fu il primo edificio commerciale di grandi dimensioni ad affacciarsi sulla via Emilia. Vendeva automobili e camion. La longeva attività del “Rag. Silvio Antonelli” nacque però in centro storico molti anni prima. In origine la ditta vendeva biciclette e ciclomotori e solo in seguito si trasformò, sempre in centro storico, nella “Concessionaria FIAT”. Il trasferimento nei nuovi locali avvenne nel 1938.

Pubblicità “Fiat Antonelli” del 1928.

La nuova sede fu progettata in stile Razionalista con accorgimenti e materiali che vanno però ad arricchire l’estetica. Lo schema architettonico, con il prospetto principale curvo, venne spesso utilizzato nel periodo e verrà utilizzato anche nel dopoguerra. L’insieme dell’edificio comprendeva la rivendita, l’officina e la residenza privata. Il progetto dell’ing. Mario Antonelli, fratello del ragionier Silvio, fu realizzato dalla “Società Operai e Muratori di Cesena”. La pionieristica attività di vendita di camion consentì all’azienda di ampliare il proprio mercato fino ad arrivare alle colonie fasciste d’Africa.
Per i cesenati la concessionaria fu un importante punto di riferimento. Il ragionier Antonelli concepì infatti il modo di offrire ai clienti importanti prestiti per l’acquisto dei mezzi facilitando e incentivando lo sviluppo delle attività. Durante la Seconda guerra mondiale gli edifici furono requisiti dall’esercito tedesco.

Ing. Mario Antonelli. Progetto della concessionaria Fiat di Cesena. 1937.
La concessionaria Fiat di Cesena in costruzione. 1938.

Inizialmente l’impianto architettonico del complesso si sviluppava a corte aperta attorno a un vuoto centrale. Solo negli anni Cinquanta la corte fu coperta con la struttura ancora oggi esistente (area esposizione auto). Il fonte sulla via Emilia e l’angolo esposizioni è rivestito in Travertino.

Foto aerea della concessionaria Fiat al termine dei lavori.
Concessionaria “Fiat Antonelli. Parte destinata all’abitazione. Immagine d’epoca.

Colonia Montecatini

Nome attuale: Centro Vacanze Monopoli di Stato
Nome originale: Colonia della società Montecatini

Città: Cervia (RA)
Frazione: Milano Marittima
Indirizzo: via Matteotti, XXIV – XXV traversa

Anno di realizzazione: 1938
Progettista: architetto Eugenio Giacomo Faludi
Committenza: Montecatini – Società Generale per l’Industria Mineraria e Agricola
Stile architettonico: Razionalista

Interno visitabile: no
Note: la Colonia Montecatini è inserita in un itinerario dedicato in questa guida
vincolo di Soprintendenza – rilevanza storico artistica
colpisce la vasta dimensione dell’edificio
si conserva l’imponente arco d’ingresso.

L’arco trionfale di accesso alla “Colonia Montecatini”, oggi denominata dei Monopoli di Stato.
La “Colonia Montecatini” in una cartolina d’epoca.

Le colonie, nate nell’Ottocento come Ospizi marini, negli anni Venti e Trenta del XX secolo divennero percorsi fondamentali del regime per la cura fisica e l’indottrinamento politico dei giovani italiani. Numerose furono le grandi industrie italiane che realizzarono complessi al mare e in montagna per ospitare i figli dei propri dipendenti nei periodi estivi. L’architettura delle strutture ricettive raggiunse livelli altissimi. A progettarle furono professionisti di rilievo che utilizzarono idee innovative e materiali moderni. Tra queste la “Colonia marina Montecatini” ricopre un ruolo di primaria importanza per disegno e distribuzione degli spazi. Il progetto di Eugenio Faludi venne esposto alla “Mostra Nazionale delle Colonie Estive” e alla “Mostra Nazionale del Dopolavoro”. La notevole rappresentazione razionalista dell’edificio non manca certo di simbologie. In particolare la straordinaria “scalinata a rampe”, oggi purtroppo ricostruita e presente in minima parte, va contemporaneamente ad assolve al compito politico di torre littoria e arengario e a quello di corpo tecnico per la salita, pista per la preparazione fisica, belvedere sul mare e sulla pineta, appoggio per la riserva di acqua e supporto per l’iscrizione/pubblicità “Montecatini”. L’inaugurazione ufficiale avvenne il 24 agosto 1939 alla presenza degli esponenti del fascismo provinciale e dei dirigenti dell’azienda.

La “Colonia Montecatini” in una cartolina degli anni Trenta. In primo piano la straordinaria torre che caratterizzava il disegno architettonico.
La “Colonia Monopolio di Stato” (già Montecatini) in una cartolina del dopoguerra. La torre è stata ricostruita solo fino all’altezza della copertura.
La torre della “Colonia Monopolio di Stato” (già Montecatini) come appare oggi.

Il suo disegno è costituito da un complesso di edifici piuttosto articolato che va ad occupare un lotto di di circa 68.000 mq. posto a nord della località Milano Marittima tra l’attuale via Matteotti e la spiaggia alla quale la struttura ha accesso diretto. Agli edifici si accede dal viale attraverso uno scenografico arco in cemento armato. I fabbricati minori, con un alzato di uno o due piani, ospitavano i servizi sanitari, lavanderie, cucine, refettorio e alloggi per il personale e ospiti, la chiesa, le sale di lettura, giochi e spettacoli. L’edificio più imponente, un blocco di 4 piani e un fronte sul mare di 122 metri, ospitava i dormitori dei bambini. Verso il mare era prevista una passerella coperta che portava a un piccolo porticciolo sull’acqua che mai fu realizzata. Sul cortile interno il grande edificio era collegato ad una torre chiamata dell’Arengario, alta oltre 50 metri (12 piani) con all’interno una rampa che consentiva l’affaccio sui belvedere, e alla cui sommità era collocato, come si diceva, il serbatoio dell’acqua per la colonia. Il complesso era progettato per ospitare ogni anno 1500 bambini, di età compresa tra i 6 ed i 12 anni, divisi in tre turni di 500, della durata di un mese. Ogni gruppo di bambini era suddiviso a sua volta in 16 “unità organiche” o squadre di 30 bambini, sorvegliati da una vigilatrice. Ad ogni ospite veniva consegnato al suo ingresso in colonia un corredo ed il necessario per l’igiene quotidiana.

“Colonia Montecatini”, fronte verso il mare.

Tra il 1940 e il 1943 fu trasformata in ospedale militare per l’esercito italiano per poi essere occupata dalle truppe tedesche che minarono la torre prima della ritirata oltre la linea del Senio nell’ottobre 1944. Nei mesi successivi l’edificio fu usato per alloggi e depositi al servizio del vicino aeroporto militare costruito in pineta dall’esercito Alleato. Nel dopoguerra l’Azienda di Soggiorno di Cervia diede incarico al suo presidente, Sovera, di prendere contatti con la direzione generale della società Montecatini per sollecitare la ricostruzione del fabbricato con il ripristino parziale della torre fino alla quota di copertura dei dormitori. L’edificio principale subì significative modifiche nel prospetto verso il mare. La colonia, passò di proprietà e prese il nome di “Colonia dei Monopoli di Stato” o “Centro Vacanze Monopoli di Stato”. Non è più utilizzata dal 1998.

Tresigallo la storia

L’enigmatica Tresigallo, oggi conosciuta come la “Città Metafisica”, era un piccolo borgo a 20 km da Ferrara, ai limiti della grande bonifica ottocentesca. Agli inizi del XX secolo contava poco più di 500 abitanti, in prevalenza braccianti e pescatori. Le prime testimonianze del villaggio sono del 1287 e la sua pieve di Sant’Apollinare è nota già dal 1100. Quindi, nonostante l’aspetto attuale faccia pensare ad una città di fondazione del Novecento, in realtà si tratta di una città di “rifondazione”. Tresigallo, per altro, è estranea ai programmi voluti da Mussolini per l’edificazione di nuove città a favore delle attività rurali o industriali. Mentre la creazione di Sabaudia nell’Agro pontino o di Carbonia nel Sulcis furono approvate dal Governo e registrarono la posa della prima pietra, per la rinascita del piccolo borgo padano tutto questo è assente. Tresigallo costituisce un caso a parte. Un’anomalia in chiaro conflitto di potere. Oggi la città conta più di 4mila abitanti ed è un centro famoso per l’architettura Razionalista che rimanda ai celebri quadri di De Chirico.

Giorgio De Chirico. L’enigma di un pomeriggio d’ autunno,1909.

La rifondazione di Tresigallo fu opera di Edmondo Rossoni, potentissimo gerarca fascista Tresigallese, uomo dai tanti lati oscuri ancora da approfondire. Personaggio ribelle e irrequieto. Socialista rivoluzionario e sindacalista di successo, Rossoni aderì al fascismo diventando deputato nel 1928. Nel 1932 ottenne l’incarico di sottosegretario alla Presidenza del consiglio e in quell’anno avviò l’idea di trasformazione del proprio paese in una sorta di “città ideale”: una città fascista e corporativa, capace cioè di coinvolgere contemporaneamente imprenditori e lavoratori secondo la sua personale e contraddittoria visione sociale. Con l’incarico di ministro dell’Agricoltura e delle Foreste conferitogli da Mussolini nel 1935 il suo potere aumentò a dismisura. Nel 1936 venne indicato come il possibile successore di Starace al vertice del PNF e nel 1938, in Gran Consiglio, promosse e sottoscrisse le leggi razziali.

Edmondo Rossoni durante un comizio negli anni Venti.

La nuova Tresigallo fu ideata da Rossoni seguendo il percorso dell’industrializzazione. La “progettazione” di un nuovo paese, migliore e più giusto, avvenne però senza che mai fosse indetto un concorso pubblico. La realizzazione delle opere ebbe luogo secondo gli ordini del gerarca e le aziende in essa coinvolte furono quelle scelte da lui. Nella metamorfosi di Tresigallo sarà importantissima la SERTIA: una società fondata da Edoardo Rossoni, zio e prestanome del gerarca. Ufficialmente effettuerà gli espropri, si occuperà del reperimento fondi, della realizzazione degli edifici pubblici, della costruzione delle abitazioni nonché della ristrutturazione e rivendita delle case esistenti. In verità il ruolo principale della SERTIA fu quello di copertura. Il ministro Rossoni diresse infatti ogni operazione economica impadronendosi di notevoli fondi pubblici. Molti espropri avvennero senza atti legali e molte opere furono eseguite fuori dalla Legge. La trasformazione industriale dell’antico borgo avvenne al limite della clandestinità. Persino le industrie “invitate” ad investire sul territorio furono estranee alle aderenze statali. Il duce e lo Stato non furono a conoscenza (o non vollero essere a conoscenza) della reale entità degli accadimenti fino al 1939 quando, dopo numerose lettere anonime e approfondite indagini (anche dell’OVRA), Mussolini sollevò lo spregiudicato tresigallese dall’incarico di ministro.
Nel 1943 Rossoni votò a favore dell’ordine del giorno Grandi che sfiduciò Mussolini ma poi, nel ’44, fu condannato a morte dal Tribunale della Repubblica Sociale. In quel periodo vennero ritrovati ingenti valori di sua “proprietà” sotterrati a Tresigallo. Nel 1945 fu condannato all’ergastolo per crimini fascisti ma con l’aiuto dei Benedettini, che gli fecero assumere l’identità di un religioso, riuscì a fuggire in Canada. Nel 1947, dopo numerose vicissitudini, la Cassazione annullò la sentenza permettendogli di rientrare in Italia.

Il lampione riprodotto dall’originale per l’arredo urbano.

Le innumerevoli vicende personali e politiche del gerarca fascista, unite alla rivalità dimostrata nei confronti di Mussolini, complicano la lettura del personaggio implicando inevitabilmente l’evoluzione della nuova città. Tresigallo però era diventata moderna e razionalista, con 10.000 abitanti, fabbriche autarchiche, abitazioni, opere pubbliche e indubbia crescita sociale ed economica. Non mancarono la Casa della Gil, luogo di partenza delle parate in camicia nera dei Balilla armati di moschetto e lo stadio per le gare e la formazione sportiva. Sulle strade principali furono posizionati diversi lampioni appositamente creati per la città, che sono stati riproposti per l’attuale arredamento urbano in modo fedele al disegno originale recuperando dove possibile i pali dell’epoca. L’architettura giocò un ruolo fondamentale nella modernità e nella rappresentazione propagandistica dello Stato/partito della cittadina padana. E non mancò di testimoniare l’esibizione di potere del gerarca.
La sensazione di chi cammina oggi per le strade di Tresigallo è di estremo interesse. E’ una percezione quasi surreale. Quella cioè di individuare precisi punti di riferimento posti a sbarramento al termine degli assi viari. Come per delimitare lo spazio vitale in uno schema antico e prestabilito: la Gil, la chiesa, la piazza. E il Cimitero: al centro del quale Rossoni fece costruire, da vivo, il proprio mausoleo. Al suo interno una gigantesca torcia in marmo verde caratterizzava il luogo sacro dove la Croce era relegata in secondo piano. Sul braciere una conchiglia di vetro colorato ancora oggi simula una fiamma sempre viva. Dalla piazza principale della città un fantastico rettilineo conduce a quella torcia che, non certo casualmente, indica il “nord”.

Una delle tante lettere con le quali il ministro Rossoni inviava le indicazioni per la realizzazione della nuova Tresigallo all’amico fidato Mariani.

Nella trasformazione di Tresigallo non vanno dimenticate due figure significative. Il primo è Carlo Frighi, amico di famiglia e laureato in ingegneria nel 1929. Venne chiamato da Rossoni a ricoprire il ruolo di “ingegnere di Tresigallo”. Il secondo è Livio Mariani, macellaio del paese e amico d’infanzia. Mariani fu un vero e proprio “direttore generale” durante l’intero processo. Fu tramite Mariani che Frighi ricevette gli schizzi da trasformare in progetti esecutivi. Per questo Carlo Cresti, storico dell’Architettura, definì Tresigallo: una invenzione per lettera. Infatti un vero Piano regolatore generale della città industriale non fu mai redatto: si lavorò esclusivamente su bozze realizzate da Edmondo Rossoni. Oggi però un Piano regolatore di Tesigallo esiste. Tra i punti fondamentali della pianificazione urbana ricoprono un ruolo di estrema importanza proprio le architetture razionaliste della prima metà del Novecento. La Soprintendenza le ha vincolate perché posseggono un valore storico artistico. Quelle architetture sono un caso a parte nella storia urbana d’Italia. Una realtà che riconduce agli enigmi delle tele di De Chirico.

Uno degli schizzi realizzati da Rossoni per la pianificazione della nuova Tresigallo.

Colonia Varese

Nome Attuale: Colonia Varese
Nome Originale: Colonia Marina Costanzo Ciano

Città: Cervia
Frazione: Milano Marittima
Indirizzo: via Matteotti n. 182

Anno di realizzazione: 1937 – 1938
Progettista: arch. Mario Loreti, CMC (Cooperativa Muratori e Cementisti) costruttore
Committenza: Federazione dei Fasci di Combattimento di Varese
Stile architettonico: Razionalismo

Interno visitabile: no
Note: la Colonia Varese è inserita in un itinerario dedicato in questa guida
in stato di abbandono dagli anni Cinquanta
di proprietà della Regione Emilia Romagna

La “Colonia Varese” di Milano Marittima vista dall’arenile di sua competenza oggi inserito nel Parco regionale del Delta del Po.

Il compito delle colonie marine volute dal fascismo fu quello di curare e plasmare ideologicamente i giovani italiani, ma la grande struttura ricettiva realizzata dai Fasci di combattimento di Varese fu utilizzata con lo scopo originario per brevissimo tempo. Inaugurata nell’estate del 1939, già dal giugno del ’40 ospitò un gruppo di figli di italiani residenti a Tripoli costretti al rimpatrio a causa dell’emergenza bellica. Dalla fine del 1940 al 1943 fu trasformata in ospedale militare territoriale per essere poi occupata dalle truppe tedesche e usata anche come carcere militare fino all’ottobre del ’44. Tra il 1944 e 1945 fu utilizzata come area al servizio dell’aeroporto militare costruito in pineta dall’esercito Alleato.
Nel 1947 la colonia fu riattivata con la gestione dell’ “Ente Gioventù italiana” che aveva ereditato i beni della GIL (Gioventù Italiana del Littorio). Parzialmente danneggiata nel periodo bellico fu interessata negli anni da lavori di messa in sicurezza tra cui la demolizione e ricostruzione delle caratteristiche rampe centrali. Dopo circa 10 anni di funzionamento nel 1957 venne però sgomberata e chiusa definitivamente per pericoli di crollo. In seguito alla soppressione dell’Ente, nel 1975 la Varese diventò parte del patrimonio della Regione Emilia-Romagna. L’area su cui sorge l’edificio e la spiaggia antistante fanno oggi parte del “Parco regionale del Delta del Po”.

La “Colonia Varese” di Milano Marittima in un’immagine degli anni Trenta.
La “Colonia Varese” di Milano Marittima in un’immagine realizzata al completamento dei lavori e poi riutilizzata nel dopoguerra.

La particolare scenografia proposta dalla colonia marina Varese in abbandono ha fatto da sfondo a più di un set cinematografico. In particolare tra i suoi muri sono state girate alcune scene di Zeder, un film horror di Pupi Avati del 1983 con Gabriele Lavia, e di Troppo sole un film comico di Giuseppe Bertolucci del 1994 con Sabina Guzzanti. E’ del 1992 Sabato italiano, di Luciano Manuzzi, pellicola che affronta il tema delle “stragi del sabato sera”.

Un’immagine tratta dal film di Pupi Avati: Zeder. Gabriele Lavia corre nei meandri della colonia Varese.

L’edificio, pensato per ospitare contemporaneamente 800 bambini, insiste su un lotto di 60.928 mq per un volume pieno di 62.176 mc distribuiti su cinque piani. La struttura ha un impianto fortemente simmetrico con il corpo centrale caratterizzato dalla griglia in cemento armato di sostegno alle due rampe inclinate che, anche in origine, avevano la caratteristica di incrociarsi senza mai comunicare tra loro. I due percorsi conducevano rispettivamente all’ala femminile e a quella maschile. Sui lati sono presenti corpi di servizio a due piani. Innestate agli estremi del corpo centrale, due ali a cinque piani protese verso la spiaggia, contenevano i capienti dormitori.

Denti di Drago

Nome attuale: Denti di Drago
Nome originale: Denti di Drago

Città: Cervia (RA)
Frazione: Milano Marittima
Indirizzo: lungomare Ettore Sovera – via Pietro Mascagni

Anno di realizzazione: 1944
Progettista: Organizzazione Todt dal nome dell’ideatore Fritz Todt
Committenza: Esercito tedesco
Stile architettonico: architettura militare

Note: i Denti di Drago sono inseriti in un itinerario dedicato in questa guida
presenti nel Catalogo generale dei beni culturali
sottoposti a tutela nella competenza della Soprintendenza
altre informazioni sul sito La linea Galla Placidia (https://lalineagallaplacidia.it)
visitabili anche con tour guidato

Milano Marittima (Cervia). I “Denti di drago”, ostacoli militari anticarro e antisbarco.

Il “Dente di Drago” è un ostacolo difensivo militare costruito in calcestruzzo e ferro, la cui forma piramidale è particolarmente efficace per arrestare l’avanzata di carri armati. I singoli denti sono collegati nel sottosuolo da una struttura unica, sempre in cemento armato, che li rende una fortificazione particolarmente resistente e difficile da rimuovere.
Durante il conflitto erano collegati nella parte superiore da filo spinato antiuomo. Il loro posizionamento era studiato in modo da consentire il primo accesso ai carri che poi venivano bloccati dai “denti” successivi.

“Gli ingegneri attraversano i Denti di Drago con le mine che hanno rimosso dal sito che diventerà un aeroporto. Molti morirono intraprendendo questo compito pericoloso ma importante”. Imperial War Museum.

Il sistema di difesa era costituito da una doppia linea di “Denti di Drago” con funzione anticarro e antisbarco che partendo dalla riva sinistra del porto si allargava in un’ampia curva per poi proseguire all’interno fino ad attraversare il viale Vittorio Veneto, per una lunghezza complessiva di circa 800 m. A rinforzo della linea anticarro erano stati costruiti 14 bunker di dimensioni e con funzioni diverse che ancora si conservano. I “Denti di Drago” sono stati in gran parte rimossi.

I “Denti di Drago” sulla spiaggia di Milano Marittima.
I “Denti di Drago” sulla spiaggia di Milano Marittima dopo il restauro.

I “Denti di Drago” fanno parte di un’area musealizzata inserita nel tracciato del lungomare ciclo-pedonale di Cervia-Milano Marittima. Il percorso è composto da un bunker modello Regelbau 668 e un bunker di dimensioni minori modello Tobruk Vf58c. Le strutture si inseriscono nel complesso difensivo costiero denominato Linea Galla Placidia impostato dalla Wehrmacht tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944. In particolare la costruzione della sezione cervese della linea è databile al gennaio-febbraio 1944 con l’istituzione e lo sgombero di un’area militarizzata da parte del Comando militare tedesco.

Grand Hotel Cervia

Nome attuale: Grand Hotel Cervia
Nome originale: Grand Hotel

Città: Cervia
Frazione: ambito urbano
Indirizzo: lungomare Grazia Deledda n.9

Anno di realizzazione: 1931
Progettista: ing. Mario Consolaro, costruttore Coop. Muratori Cervia
Committenza: Mario Consolaro (proprietario)
Stile architettonico: Eclettismo, con richiami al Liberty e allo stile Classico

Interno visitabile: No
Note: la facciata si distingue dal particolare colore rosa che ha reso la struttura unica nel suo genere
splendidi i terrazzini delle stanze e l’ampia terrazza che si affaccia sul mare
la fontana sulla strada, opera dello scultore Giuseppe Casalini (1886-1957), era un tempo parte del giardino dell’hotel

Il “Grand Hotel” di Cervia.
Il “Grand Hotel” di Cervia appena realizzato.

Dopo un’antica storia legata alla produzione del sale e alla pesca in Adriatico, nel XX secolo Cervia si affacciò all’industria del turismo. La costruzione di una struttura ricettiva di alto livello fu promossa dal podestà Giuseppe Malferrari che giunse ad un accordo con l’ingegnere Mario Consolaro a cui venne ceduto il terreno di proprietà del Comune. L’inaugurazione del “Grand Hotel” avvenne il 15 Giugno 1931. L’immobile contava 60 camere con 100 letti, 8 bagni comuni, acqua corrente fredda in tutte le camere, calda parzialmente. Negli anni immediatamente successivi furono realizzati alcuni ampliamenti con l’aggiunta della terrazza sul mare (1932) e di un blocco per le autorimesse (1938) poi demolite. Il giardino antistante, decorato con la fontana dello scultore Giuseppe Casalini (1886-1957), fu trasformato in piazzale con la costruzione del lungomare nel 1937. Le vicende patrimoniali del complesso alberghiero furono particolarmente complesse sia per le circostanze del fallimento di Consolaro (1934) sia perché parte delle strutture vennero costruite su area demaniale.

Il “Grand Hotel” di Cervia, la sua spiaggia e il lungomare in realizzazione. La fontana risulta ancora all’interno del giardino dell’hotel. Cartolina ante 1937.
Il “Grand Hotel” di Cervia, la sua spiaggia e il lungomare realizzato nel 1937. Cartolina d’epoca.

Nel corso della Seconda guerra mondiale il “Grand Hotel”, per la sua posizione in prima linea sul mare, venne inserito dalle forze armate tedesche tra gli edifici da demolire nell’ambito della costruzione delle opere di difesa costiera della Linea Galla Placidia di cui Cervia conserva interessanti strutture come i Denti di Drago e i Bunker. Fu invece salvato e divenne la sede del comando tedesco. Dopo l’ottobre 1944 venne requisito dall’esercito Alleato. Nel dopoguerra l’albergo riprese l’attività ma una serie di gestioni sfortunate portò alla chiusura dell’attività alla fine degli anni ’60. Nei primi anni ’70, per lo stato di degrado e abbandono, venne interdetto l’accesso all’edificio che fu dichiarato pericolante anche a causa di un incendio. Nel 1986 iniziò una nuova avventura imprenditoriale che portò a una nuova stagione di fasti per il “Grand Hotel”, una storia che si è conclusa (per ora) nel 2012. Attualmente è chiuso.

Il “Grand Hotel” di Cervia visto dal mare in un cartolina degli anni Cinquanta.

L’edificio è un’originale struttura che mescola l’Eclettismo, il gusto liberty e il classicismo alla praticità di un neonato albergo di lusso di grandi dimensioni. La facciata si distingue per il colore rosa che ha reso l’immobile unico e riconoscibile. Splendidi i terrazzini delle stanze e l’ampia terrazza che si affaccia sul mare.

Bunker Regelbau 668

Nome attuale: Bunker Regelbau 668
Nome originale: Bunker Regelbau 668 + Tobruk Vf58c

Città: Cervia
Frazione: Milano Marittima
Inditizzo: Lungomare Ettore Sovera – via Pietro Mascagni

Anno di realizzazione: 1944
Progettista: Organizzazione Todt dal nome dell’ideatore Fritz Todt
Committenza: Esercito tedesco – Wehrmacht
Stile architettonico: architettura militare

Interno visitabile: Si su prenotazione
Note: il Bunker Regelbau è inserito in un itinerario dedicato in questa guida
affresco all’interno della sala principale
struttura inserita nel Catalogo generale dei beni culturali, sottoposta a tutela nella competenza della Soprintendenza
altre informazioni sul sito La linea Galla Placidia (https://lalineagallaplacidia.it).

Il bunker Regelbau di Milano Marittima con affianco il più piccolo Tobruk .

Il Regelbau 668 di Milano marittima è un’importante testimonianza della più recente storia bellica mondiale. Il suo restauro ha offerto un racconto inedito di vita vissuta in un tragico momento di distruzione e morte. Oltre a proporre una struttura in ottime condizioni, il suo interno ha infatti restituito inaspettatamente un dipinto murale che un militare tedesco sconosciuto ha realizzato in quei momenti drammatici. In quei momenti di “follia”.

Il bunker Regelbau di Milano Marittima nel 1952. Il ragazzo all’ingresso è Gianpaolo Venturi.
Il bunker Regelbau di Milano Marittima prima dei restauri.

Il Regelbau 668 è un edificio fortificato a pianta quadrata realizzato in calcestruzzo in getto d’opera. Progettato per essere interrato, fu usato dai tedeschi come rifugio militare contro l’avanzata degli Alleati. Il suo interno è composto da un pianerottolo e da alcuni gradini discendenti sull’ingresso che fungeva da “corridoio di combattimento”. Era difficile per un aggressore effettuare l’intrusione senza essere bloccato in quel piccolo spazio. La porta blindata a tenuta stagna si apre su una camera standard. Perpendicolarmente, un’ulteriore porta blindata conduce a una piccola stanza in cui è presente un “otturatore” di emergenza: una porta che si affaccia su un’uscita.
E’ stato ricostruito l’arredo interno con materiali originali provenienti da una collezione privata. Sono presenti una stufa, il periscopio, l’antenna radio, tre letti a castello a due posti, un tavolo centrale. Poteva ospitare sei uomini. Le dimensioni: larghezza 7,65 m, lunghezza 8 m, muri 1,5 m di spessore. Davanti alla porta d’ingresso sono riaffiorati un pianerottolo e alcuni gradini che costeggiano un muro anti scheggia. Si tratta di un percorso che conduceva ad un tunnel semi sotterraneo che serviva a collegare il Regelbau al bunker Tobruk adiacente. Quest’ultimo fungeva da postazione di tiro.

L’interno del bunker Regelbau 668 di Milano Marittima.
L’interno del bunker Regelbau 668 di Milano Marittima con la misteriosa pittura murale.

All’interno troviamo un particolarissimo dipinto recentemente restaurato. L’opera presenta l’immagine di un gatto e un cane a guardia di una misteriosa corona sovrastata da un verso modificato del poeta filosofo del Settecento Johann Christoph Friedrich von Schiller, figlio di un medico militare: È pericoloso svegliare il leone, il dente della tigre è fatale, ma la cosa più spaventosa di tutte è l’uomo nella sua follia!

Il Regelbau 668, insieme agli altri presenti sul Lungomare cervese, è meta di importanti visite guidate per scuole e turisti. Il bunker fa parte di un’area musealizzata inserita nel tracciato del lungomare ciclopedonale composto da parte del sistema anticarro a Denti di Drago e un bunker di dimensioni minori modello Tobruk Vf58c. Le strutture si inseriscono nel complesso difensivo costiero denominato Linea Galla Placidia impostato dalla Whermacht tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944. In particolare la costruzione della sezione cervese della linea è databile al gennaio-febbraio 1944 con l’istituzione e lo sgombero di un’area militarizzata da parte del Comando militare tedesco. Il sistema di difesa era costituito da una doppia linea di denti di drago con funzione anticarro e antisbarco che partendo dalla riva sinistra del porto si allargava in un’ampia curva per poi proseguire all’interno fino ad attraversare il viale Vittorio Veneto, per una lunghezza complessiva di circa 800 m. A rinforzo della linea anticarro erano stati costruiti 14 bunker di dimensioni e con funzioni diverse. Mentre i denti di drago sono stati in gran parte eliminati, i bunker sono ancora in sito, spesso interrati, inglobati nei cortili delle abitazioni o lungo i marciapiedi.

Colonia Mantovana

Nome attuale: Parcheggio Mantova
Nome originale: Casa al mare del fascio Mantovano, poi Colonia Mantovana

Città: Cervia
Frazione: Milano Marittima
Indirizzo: viale 2 Giugno, angolo via Forlì

Anno di realizzazione: 1933
Progettista: ingegner Gino Norsa; archietteo Piero Portaluppi
Committenza: Federazione dei fasci della Provincia di Mantova
Stile architettonico: Razionalista

Interno visitabile: non più esistente
Note: edificio demolito negli anni ’70
la Colonia Mantovana è inserita in un itinerario dedicato in questa guida

Il fronte stradale della colonia Mantovana in una cartolina degli anni ’30.

La “Colonia Mantovana”, già “Casa al mare del Fascio Mantovano”, non esiste più. Al suo posto oggi troviamo un parcheggio con un nome che vuole ricordare la storia del luogo e l’interessante edificio razionalista demolito. E’ il parcheggio Mantova posizionato tra il lungomare Due Giugno e il viale Forlì. I progettisti sono l’ingegner Gino Norsa e il famoso architetto milanese Piero Portaluppi creatore con altri della Casa del Fascio di via San sepolcro e dell’ “Arengario” di Milano. Sua è la straordinaria villa Necchi Campiglio.

Tavola di progetto della Colonia Mantovana di Milano Marittima. Prospettiva.

L’edificio fu costruito in pochi mesi su un lotto di 5200 mq tra il lungomare e la spiaggia a cui accedeva direttamente. Fu inaugurato con una cerimonia ufficiale il 21 agosto 1933 alla presenza di Achille Starace, segretario del partito Fascista. Nel 1940 la colonia ospitò un gruppo di bambini figli di italiani residenti in Libia, mentre tra il 1940 e il 1943 fu utilizzata come ospedale militare per l’Esercito italiano. La sua denominazione era: “Ospedale Militare Territoriale Colonia Mantovana – Cervia”. Nel 1944 fu occupata dai militari tedeschi e con il passaggio del fronte i suoi edifici subirono ingenti danni. Nel dopoguerra fu rimessa in funzione per alcuni anni grazie alla gestione dell’ente Gioventù italiana (erede della GIL Gioventù italiana del littorio) per essere poi acquisita al patrimonio del Comune di Cervia alla fine degli anni ’60. Il grande complesso fu demolito per inagibilità strutturale negli anni ’70.

Il fronte verso il mare della colonia Mantovana di Milano Marittima. Cartolina anni ’30.

La colonia era costituita da tre blocchi di altezza diversa. I laterali, con seminterrato e due piani, erano allungati verso il mare e formavano le ali ad un edificio centrale che invece era prominente verso il viale. Quest’ultimo presentava un seminterrato e tre piani superiori. Le due ali erano destinate all’alloggio separato dei maschi e delle femmine mentre il blocco centrale, oltre ad essere destinato all’accesso principale alla struttura, era attrezzato per i servizi comuni, amministrativi, sanitari e per l’alloggio del personale. I collegamenti dei blocchi ospitavano i refettori mentre due torri scalari in cotto, di servizio agli alloggi, affiancavano la parte centrale raggiungendone la medesima altezza. La facciata si presentava quindi molto articolata mentre la decorazione, affidata all’alternanza di fasce e aree con mattoni a vista ad altre ad intonaco, rompevano l’uniformità del rivestimento. Lo stabile, con un fronte di 77 metri e una profondità di quasi 50, era stato pensato per l’accoglienza contemporanea di 450 bambini con circa un centinaio di persone di servizio.

Affianco alla colonia “Mantovana” era presente la colonia “Val Camonica”. Il disegno stilistico era molto diverso così come il numero dei bambini che poteva accogliere. Anche la colonia “Val Camonica” fu demolita. Al suo posto furono edificati piccoli edifici e villette destinati alla stagione estiva. Sul lato opposto della strada è invece ancora presente il “Centro climatico marino dei Padri Camilliani”: l’ultima colonia di Milano Marittima ad essere chiusa.

La colonia “Val Camonica” sorgeva affianco alla “Mantovana”. Entrambe sono state demolite.

Bunker Tobruk

Nome attuale: Bunker Tobruk
Nome originale: Bunker Tobruk Vf58c

Città: Cervia (RA)
Frazione: Milano Marittima
Indirizzo: Lungomare Ettore Sovera – via Nicolò Paganini

Anno di realizzazione: 1944
Progettista: Organizzazione Todt dal nome dell’ideatore Fritz Todt
Committenza: Esercito tedesco – Wehrmacht
Stile architettonico: architettura militare

Interno visitabile: no – visibile attraverso un vetro
Note: il Bunker Tobruk è inserito in un itinerario dedicato in questa guida
presente nel Catalogo generale dei beni culturali
sottoposto a tutela nella competenza della Soprintendenza. Altre informazioni sul sito La linea Galla Placidia (https://lalineagallaplacidia.it).

“Bunker Tobruk” a Milano Marittima.

Il “Bunker Tobruk” di tipologia Vf58c fu costruito dai tedeschi per contrastare l’avanzata degli Alleati. I suoi muri sapevano resistere a bombe aeree del peso di 500 libbre. Si tratta di un piccolo edificio a pianta rettangolare, in gran parte interrato, realizzato in calcestruzzo in getto d’opera. L’interno è articolato in due piccoli ambienti: il primo, d’ingresso, porta attraverso una scala ad un secondo ambiente destinato a postazione di tiro, azione che avveniva attraverso un foro del diametro di 80 cm. presente sul soffitto. Il vetro a copertura dell’oblò che ospitava la mitragliatrice è stato istallato grazie ai lavori di restauro recentemente completati. Il vetro antisfondamento permette di vedere l’interno del bunker.

“Bunker Tobruk” prima del restauri.
“Bunker Tobruk” e “Denti di Drago” a Milano Marittima dopo i restauri.

I Bunker si inseriscono nel complesso difensivo costiero denominato “Linea Galla Placidia” impostato dalla Whermacht tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944. In particolare la costruzione della sezione cervese della linea è databile al gennaio-febbraio 1944 con l’istituzione e lo sgombero di un’area militarizzata da parte del Comando militare tedesco. Il sistema di difesa era costituito da una doppia linea di denti di drago con funzione anticarro e antisbarco che partendo dalla riva sinistra del porto si allargava in un’ampia curva per poi proseguire all’interno fino ad attraversare il viale Vittorio Veneto, per una lunghezza complessiva di circa 800 m. A rinforzo della linea anticarro erano stati costruiti 14 bunker di dimensioni e con funzioni diverse. I “Denti di Drago” sono stati in gran parte eliminati, i bunker sono ancora in sito, spesso interrati, inglobati nei cortili delle abitazioni o lungo i marciapiedi.

Nelle vicinanze, a ridosso della via Leoncavallo, è presente un altro “Bunker Tobruk” perfettamente conservato, ma con gli ingressi murati.

Il “Bunker Tobruk” di via Leoncavallo durante una visita guidata.

I Bunker fanno parte di un’area musealizzata inserita nel tracciato del lungomare ciclo-pedonale di Cervia-Milano Marittima. Il percorso è composto da i “Denti di Drago, da un bunker modello Regelbau 668 e un da bunker di dimensioni minori modello Tobruk Vf58c.

Palazzo delle Poste

Nome attuale: Palazzo delle Poste
Nome originale: Palazzo delle Poste e Telegrafi e Palazzo dei Telefoni (o della TIMO – Società telefoni Italia medio orientale)

Città: Cesena
Frazione: centro storico
Indirizzo: Palazzo delle Poste e Telegrafi: piazza Della Libertà 7, 8 e 9; Palazzo dei Telefoni: piazza Della Libertà 4, 5 e 6

Anno di realizzazione:  Palazzo delle Poste e Telegrafi: 1957-1958; Palazzo dei Telefoni: 1955-1956
Progettista: Palazzo dei Telefoni – Ufficio tecnico della TIMO Bologna
Committenza: Palazzo delle Poste e Telegrafi – Poste e Telegrafi; Palazzo dei Telefoni: TIMO
Stile architettonico: Razionalismo con richiami allo stile Eclettico

Interno visitabile: in parte
Note: le facciate mantengono l’aspetto originale

Il palazzo delle Poste di Cesena in un’immagine moderna.

Se l’odonimo di piazza Della Libertà rappresenta un netto rifiuto al regime totalitario, altrettanto non si può dire per alcune delle architetture che la circondano. In particolare per il Palazzo delle Poste: sia per l’aspetto che per il metodo con cui fu inserito nel tessuto urbano. L’immobile fu infatti innalzato nella seconda metà degli anni Cinquanta, ma mantenne un chiaro retaggio dell’architettura del Ventennio. Inoltre per far spazio alla nuova costruzione fu applicata la logica del piccone demolitore di mussoliniana memoria. La pratica di demolizione fu ampiamente utilizzata anche nel dopoguerra, ma con una valenza di natura maggiormente economica. Durante il regime, infatti, ogni edificio che rappresentava lo Stato/partito, doveva essere collocato in posizioni strategiche della città. A prescindere dai palazzi che sarebbero stati abbattuti. L’ideale si sarebbe raggiunto creando attorno al nuovo fabbricato una zona libera da costruzioni, in modo da realizzare un coreografico sagrato. Erano operazioni politico/edilizie molto costose. Soprattutto culturalmente. Ma tanto valevano i “simboli” della propaganda fascista.

Bordate in nero le demolizioni effettuate per la costruzione dei palazzi delle Poste, dei Telefoni e per la sistemazione dell’attuale piazza Della Libertà. “Pianta topografica della città di Cesena”, 1936. Stralcio. Elaborazione grafica.

L’aspetto attuale di piazza Della Libertà è dunque frutto di una “pianificazione urbanistica” che si praticò in tutta la Penisola a partire dagli anni Cinquanta. Una politica che prevedeva lo sventramento del centro storico a favore dell’utilizzo sempre più massiccio dell’automobile avvalendosi, in casi frequenti, di strumenti urbanistici o progetti approvati durante il regime fascista. Sul sedime dell’odierna piazza Della Libertà sorgeva un ex convento che ospitava diversi uffici pubblici e negozi come la Prefettura, la TIMO e le Poste. Ma non fu l’unico immobile di pregio ad essere atterrato. A farne le spese fu anche il bellissimo palazzo nobiliare “Venturelli-Mori”. Un’ulteriore zona edificata a nord della piazza si salvò dall’annunciato annientamento.

Il palazzo delle Poste di Cesena in un’immagine degli anni Settanta.

Anche se i nuovi palazzi delle Poste e della TIMO furono costruiti nella seconda metà degli anni Cinquanta, la loro figura fu visibile alla popolazione solo nel 1960 quando, al termine dei lavori, fu abbattuto ciò che rimaneva delle antiche facciate. Quello che apparve fu un disegno in stile Razionalista ma con particolari che appartengono più al ricorrente stile Eclettico. Vista la struttura architettonica, i goliardi cesenati, più che mai attenti, descrissero così il nuovo paesaggio urbano: carico di ventennale nostalgia: una primavera tanto cara all’estro estetico di Benito.

Il palazzo delle Poste di Cesena in una foto aerea.

Centro Climatico Marino

Nome attuale: Centro Climatico Marino dei Padri Camilliani (1950-1995)
Nome originale: Casa balneare Romano Mussolini degli orchestrali fascisti milanesi (1928); Colonia dell’Ente nazionale per la mutualità scolastica (1931-1937); Colonia marina “Pietro Roberti”(1938-1944); Colonia Tripoli (1940)

Città: Cervia
Frazione: Milano Marittima
Indirizzo: via 2 Giugno n. 67

Anno di realizzazione: 1928, ampliamenti 1935, padiglione di isolamento 1936
Progettista: Broggi, Ambrogio – imprenditore edile; ing. Mario Rodolfi (ampliamenti)
Committenza: Orchestrali Fascisti Milanesi
Stile architettonico: Eclettismo – Classicismo

Interno visitabile: no
Note: la Colonia Centro Climatico Marino è inserita in un itinerario dedicato in questa guida
Ingresso con ampia scalinata, loggiato con colonnato e frontone a tempietto

Il “Centro Climatico Marino” dei Padri Camilliani di Milano Marittima.

Il “Centro Climatico Marino” fu l’ultima delle grandi colonie storiche cervesi a chiudere i battenti. E’ tutt’ora agibile. La costruzione del corpo principale risale al 1928. Il primo progetto venne presentato dall’organizzazione degli “Orchestrali Fascisti Milanesi” per farne una casa di cura, ma prima ancora del suo completamento l’immobile passò di mano tra diversi proprietari. Tra 1931 e 1935 l’edificio fu ampliato e completato dall’ “Ente Nazionale per la Mutualità Scolastica”. Nel 1938 la colonia venne incamerata dalla GIL che ne cambiò denominazione.
L’organizzazione della GIL (Gioventù Italiana del Littorio) nacque nell’ottobre del 1937 dalla soppressione della ONB (Opera Nazionale Balilla) e di altri organismi pubblici e privati. Venne posta alle strette dipendenze del partito Fascista perché potesse “gestire” senza ostacoli i giovani di ogni età dando loro una una preparazione fisico/militare, una proposta assistenziale/ricreativa e un preponderante indottrinamento politico. L’obiettivo era quello di formare l’italiano fascista. A cura della GIL dal novembre 1940 la struttura ospitò bambini provenienti dalla Libia e per questo venne indicata in quegli anni come colonia Tripoli. Come altre colonie del territorio nel corso della guerra venne occupata prima da militari tedeschi e poi dall’ottobre 1944 da militari canadesi che vi insediarono il loro ospedale militare.

Dal 1948 al 1995 i Padri Camilliani, ordine dedito alla pratica delle opere di misericordia verso gli infermi nato nel Cinquecento, la gestirono come centro climatico estivo. Alla colonia venne attribuita anche una porzione di arenile. La struttura fu sottoposta a qualche intervento di adeguamento per essere utilizzata per alcuni mesi, tra il 2004 e il 2006, per la realizzazione del reality di Mediaset: Campioni. La trasmissione era nata per seguire la vita e le partite della squadra locale di calcio. L’allenatore era il campione del mondo Francesco (Ciccio) Graziani. Attualmente l’ex colonia è di proprietà privata.

Il Centro Climatico Marino dei Padri Camilliani di Milano Marittima. Cartolina post 1950.

A pieno regime ospitava turni di 300 bambini oltre al personale di servizio e agli assistenti. Il corpo disegnato nel 1928 è quello più interessante dal punto di vista architettonico. L’edificio, costituito da un parallelepipedo posto parallelamente al fronte stradale, presenta un prospetto di matrice palladiana con un loggiato sul fronte, posto su un podio, accessibile attraverso una scalinata suddivisa in tre rampe e retto da doppie colonne. Al piano superiore la facciata presenta lesene tra le finestre e un blocco centrale leggermente aggettante sormontato da un timpano di matrice classica.
Al di là della strada (via Due Giugno) esistevano altre due interessantissime colonie. Erano la Val Camonica e la Mantovana. Quest’ultima si ispirava alle linee del Razionalismo.

Albergo Mare e Pineta

Nome attuale: Mare Pineta Resort
Nome originale: Albergo Mare e Pineta

Città: Cervia (RA)
Frazione: Milano Marittima
Indirizzo: viale Dante Alighieri n. 40

Anno di realizzazione: 1925 – 1926
Progettista: arch. Matteo Focaccia
Committenza: Società Milano Marittima – Civam
Stile architettonico: Eclettismo

Interno visitabile: si
Note:

Il “MarePineta” resort di Milano Marittima.

Fortemente legata alla storia dell’ “Hotel Mare e Pineta” troviamo la prima esperienza turistica di élite di Cervia che, da antica città del sale e borgo di pescatori, si trasforma in una moderna città turistica che vive le forme pionieristiche di “industria del forestiero” utilizzando come risorsa la storica pineta. Sullo sfondo sta la fondazione di Milano Marittima, un nuovo centro turistico che nasce ufficialmente il 14 agosto 1912 in seguito a una convenzione stipulata tra Comune di Cervia e la Società Milano Marittima. Il piano della moderna urbanizzazione, ispirato all’idea della “città giardino”, è ideato da un grande artista milanese, Giuseppe Palanti.

L’ “Hotel Mare Pineta” di Milano Marittima in una cartolina del 1937.
L’albergo “Mare e Pineta” di Milano Marittima in un opuscolo pubblicitario della prima metà del Novecento.

La storia dell’albergo s’intreccia quindi con l’evoluzione di Milano Marittima. Dopo alcuni anni di sviluppo, durante i quali furono costruite le prime villette nello scenario della secolare pineta di Cervia, cominciò a farsi strada l’idea di avviare un albergo in grado di dare prestigio alla nuova località balneare. Da un’originaria costruzione di villette abbinate realizzate nel 1925, già nel 1926 si sviluppò un progetto di ampliamento che diede al complesso le caratteristiche di un moderno hotel. La denominazione della nuova struttura riprese con successo le peculiarità del luogo: mare e pineta. Nelle cronache del tempo si legge tra l’altro: Il gioco del tennis, l’ampia terrazza a mare per ritrovo e ballo e tutte le comodità più moderne rendono Milano Marittima la meta ormai preferita di una colonia elegante ed aristocratica, caratterizzata però sempre da quella nota di familiare cordialità propria dei figli di S. Ambrogio. Dalla fine degli anni Venti l’albergo diventò la sede dei principali eventi turistici della città. Intuizioni importanti andarono a valorizzare il binomio turismo e cultura: pensiamo al “Premio letterario Cervia” degli anni Trenta e al binomio turismo e sport con i primi tornei di tennis degli anni Venti e con i concorsi ippici degli anni successivi. Nel 1936 l’albergo pubblicizzava: 80 camere con 120 letti, spiaggia privata sul limitare della pineta, ristorante, bar, campi da tennis, garage, orchestra, parrucchiere, sport ippico in pineta con cavalli e istruttore e, su prenotazione, servizio di automobile per la stazione ferroviaria di Cesena.

L’Albergo “Mare e Pineta” e il maneggio. Cartolina spedita nel secondo dopoguerra.
L’Albergo “Mare Pineta” e il tennis. Cartolina spedita nell’immediato secondo dopoguerra.

Nella gestione dell’albergo si sono succeduti imprenditori che hanno fatto la storia del turismo cervese, da Carlo Allegri ad Ettore Sovera, la cui gestione iniziò nel 1938, e ai suoi figli Amedeo e Giovanni. Nell’arco di alcuni decenni l’albergo ha acquisito grande prestigio in campo nazionale ed internazionale. Col tempo la struttura ha subito modifiche estetiche ma i prospetti conservano ancora i tratti eclettici ricorrenti nella prima metà del Novecento. Gli ultimi importanti interventi edilizi e architettonici del complesso alberghiero moderno portano la data del 2010.

Villa Perelli

Nome attuale: Residence Touring
Nome originale: Villa Perelli

Città: Cervia
Frazione: Milano Marittima
Indirizzo: viale Giacomo Matteotti n.90

Anno di realizzazione: 1940-1941
Progettista: ing. arch. Mario Cavallè
Committenza: Guglielmo Perelli
Stile architettonico: Razionalismo con caratterizzazioni Decò – Eclettismo moderno

Interno visitabile: no
Note: Si differenzia per originalità dei prospetti da tulle le ville novecentesche di Cervia e Milano Marittima

Villa Perelli, poi Residence Touring. Milano Marittima (Cervia)

La bellissima “villa Perelli” fu realizzata nel 1940 dall’ingegnere e architetto milanese Mario Cavallè per il ricco industriale Guglielmo Perelli. Cavallè fu uno dei maggiori progettisti italiani di sale cinematografiche. La sua originalità diede vita a progetti sperimentali anche nell’ambito dell’edilizia abitativa come nel caso delle “Case Igloo” e delle “Case a Fungo” nel quartiere Maggiolina a Milano. Nella “villa Perelli” di Milano Marittima il progettista fece dialogare diversi stili architettonici creando un Eclettismo “moderno” di grande effetto. E’ presente il Razionalismo nelle forme e nell’uso dei materiali, il Decò per l’inserimento delle particolari colonne e del portale, e il Classicismo per le linee generali.
La villa, immersa nella pineta, era spesso teatro lussuose serate di gala. La sua sofisticata immagine ha dato vita a numerose leggende legate alla sua frequentazione, tra le altre quella di Mussolini ospite nella preziosa sala da pranzo pavimentata di marmo giallo per una gustosa tagliatella al ragù. La villa fu presentata sulla rivista “L’Architettura italiana” del giugno 1942. Dopo essere stata sede di uffici militari alleati e abitazione per sfollati, nel 1950 cambiò proprietario e divenne Residence Touring. Mantenne il tenore e l’eleganza delle origini proponendo feste sulle terrazze e partite di tennis sul campo privato.

Il Residence Touring, ex villa Perelli, in una cartolina degli anni ’50. Edizioni Barbanti Maria Bar tabacchi.

L’edificio può essere scomposto in due corpi. Un parallelepipedo verticale che contiene il corpo scale e i servizi su due piani e poi al terzo la villa vera e propria che si sviluppa in lunghezza su un ampio sbalzo aggettante a rotonda (m. 12×10) poggiato su cinque colonne il cui fusto rastremato in basso ricorda il modello egizio del fiore di loto. Il risultato è una struttura che si eleva, sospesa nella pineta, all’altezza delle chiome degli alberi, in cui Cavallé applica il motivo della rotonda che si troverà in molti altri suoi progetti.

Il Residence Touring, ex villa Perelli, in una cartolina degli anni ’50.

L’inserimento successivo di un corpo di fabbrica di quattro piani sul retro, ideato per la trasformazione in struttura ricettiva, se da un lato ha appesantito il complesso dell’edificio, dall’altro ha salvaguardato la percezione della parte anteriore. Sul fronte era presente un patio in cui il Touring aveva inserito un bar all’aperto. Oggi non è più presente. I danni del fortunale del 2019 che hanno causato la caduta di molti pini hanno mutato il rapporto della villa con l’ambiente circostante spogliando la struttura da una vegetazione che, causa l’abbandono dell’immobile, stava prendendo il sopravvento.

Piazza Della Repubblica

Nome attuale: piazza Della Repubblica
Nome originale: piazza Della Rivoluzione fascista

CittàTresigallo (FE)
Indirizzo: piazza Della Repubblica

Anno di realizzazione: 1937
Progettista: Carlo Frighi su idea di Edmondo Rossoni
Committenza: pubblica
Stile architettonico: Modernista – Littorio con richiami a soluzioni razionaliste – Eclettismo

Interno visitabile:
Note: piazza Della Repubblica è inserita in un percorso dedicato in questa guida
vincolo di Soprintendenza – rilevanza storico artistica

Piazza Della Repubblica, già Della Rivoluzione fascista, di Tresigallo.

Il termine “platea”, che deriva dal greco plateus: largo, spazioso e dal latino platea: piazza, interpreta esattamente l’essenza di piazza Della Repubblica (piazza Della Rivoluzione fascista nel ’37). La sua pianta a “D” ricalca infatti le geometrie dei teatri dove la platea rappresenta il luogo di accoglienza. Il plateus tresigallese nacque proprio con il duplice compito: di piazza e di platea teatrale.

Quando Edmondo Rossoni, discusso gerarca fascista, realizzò la nuova Tresigallo, collocò la “piazza maggiore” sul cardine portante della città. Nel cuore del nuovo centro abitato. La sagoma della grande area scoperta fu circondata da volumi residenziali che al piano terra offrivano una serie di negozi serviti da un moderno loggiato. Grazie alla sua conformazione la piazza ospitò numerose rappresentazioni teatrali e musicali che Rossoni non mancò di promuovere. La grande passione per la musica del potente fascista trovò appagamento anche nella costruzione per la propria città di un teatro, di una sala da ballo e, appunto, di una piazza la cui forma assecondava l’acustica.

Piazza Della Repubblica di Tresigallo. Particolare del loggiato.

Pochi accorgimenti stilistici non bastano per attribuire alla piazza un aspetto Razionalista. Il Moderno si legge, ma la scelta dei materiali, l’utilizzo importante di cornici, l’applicazione di alcune modanature in laterizio e la realizzazione di tetti a due acque, fanno rientrare il gruppo architettonico tra le opere legate alla tradizione. Saranno le fabbriche, nel loro ideologico compito di modernizzazione del piccolo borgo ferrarese, a portare la maggiore innovazione architettonica. I loggiati delle abitazioni sono caratterizzati da differenti pavimentazioni. Quelle in “marmetto”, presenti nel porticato curvilineo, vanno a identificare gli edifici che erano destinati ai dirigenti delle fabbriche, mentre quelle in cemento piastrellato caratterizzano verosimilmente i porticati delle abitazioni degli operai. Al momento della creazione la piazza fu arredata da una doppia fila di alberi e da una serie di lampioni che oggi sono stati riprodotti e ricollocati dal Comune.

Piazza Della Repubblica a Tresigallo. Parte del loggiato curvilineo.

Al centro dell’area è presente una bella fontana circondata da quattro giovani gazzelle in bronzo nell’atto di abbeverarsi. La simbologia, di difficile soluzione, appare però estranea a quella strettamente legata alla propaganda del regime. E a proposito di simbologia, va ricordato che il già citato cardine (oggi via Filippo Corridoni) trova origine dalla piazza e poi prosegue rettilineo fino a chiudersi sull’ingresso del nuovo Cimitero. Dentro quelle mura sacre Rossoni fece costruire il proprio mausoleo monumentale. Nel punto più a Nord.

La fontana di piazza Della Repubblica di Tresigallo.

Ex Ospedale

Nome attuale: Ex Ospedale
Nome originale: Colonia post Sanatoriale IMFPS (Istituto Nazionale Fascista Previdenza Sociale), poi Ospedale

Città: Tresigallo (FE)
Indirizzo: piazzale Forlanini 5

Anno di realizzazione: 1938
Progettista: Carlo Frighi su idea di Edmondo Rossoni
Committenza: pubblica
Stile architettonico: Modernismo, Littorio, con riferimenti al Razionalismo

Interno visitabile: no
Note: l’Ospedale è inserito in un percorso dedicato in questa guida
vincolo di Soprintendenza – rilevanza storico artistica

L’ex Ospedale di Tresigallo, già Colonia post Sanatoriale.

La lotta alla tubercolosi dell’Italia fascista fu una vera e propria “bonifica del popolo”. Fu una delle priorità che il regime si pose nel tentativo di eliminare le malattie endemiche che indebolivano la Nazione fascista. Se la Malaria fu combattuta con le bonifiche agrarie, alla Tubercolosi fu opposta l’assicurazione obbligatoria per i lavoratori dipendenti e la realizzazione di una propagandistica e consistente rete sanatoriale. Grandioso e imponente erano i termini che solitamente venivano attribuiti alle moderne costruzioni dell’Istituto Nazionale Fascista di Previdenza Sociale. Anche l’edificio realizzato a Tresigallo, con le dovute proporzioni legate alle dimensioni della cittadina ferrarese, rispecchia tale immagine.

L’ingresso all’ex “Sanatorio” di Tresigallo visto dal piazzale Forlanini. Sulla destra l’edificio ex “Domus Tua”.

La Colonia post Sanatoriale di Tresigallo fu posizionata, come sempre accadeva per questo tipo di edilizia, in un luogo lontano dal centro, dove l’aria poteva essere più pura. Nel caso di questo cantiere esiste una richiesta di autorizzazione a costruire: porta la data del febbraio 1936. Il progettista è Carlo Frighi, l’ingegnere tresigallese che trasferì su carta lucida le idee architettoniche e urbanistiche di Edmondo Rossoni. Rossoni era il potentissimo ministro dell’Agricoltura: tresigallese, impegnato nella “rifondazione” della sua città natale da piccolo borgo a cittadina moderna e industrializzata. Il gerarca fascista operò finanziariamente a Tresigallo accaparrandosi finanziamenti e pilotando l’attività edilizia tramite la SERTIA, una società gestita da un suo vicino parente.

Uno dei vani scala dell’ex “Sanatorio” di Tresigallo.

L’edificio sanitario è uno dei più alti realizzati a Tresigallo e dispone di un certo fascino. Conta 5 piani fuori terra e un seminterrato. E’ collocato all’interno di un parco. Le attività di routine venivano svolte al piano terra dove si trovavano anche i laboratori e le cucine. Al piano interrato erano collocati i magazzini, mentre ai piani superiori erano distribuite le numerose camerate per i degenti. Nel grande complesso erano presenti anche sale ricreative e alcuni laboratori nei quali i malati a lunga degenza potevano eseguire alcune attività “lavorative”. L’immobile rimase attivo come ospedale fino al 1992. In seguito fu destinato a Casa di Riposo. L’edificio dimostra monumentalità e presenza istituzionale, elementi cari al regime soprattutto dopo il 1936, data della creazione dell’Impero fascista. La lettura del Moderno è chiara. Nel suo Ecclettismo evoluto l’immobile accoglie contemporaneamente lo stile Littorio: da cui deriva la monumentalità; elementi razionalisti: come finestre in ferro a nastro verticale, oblò, parti di tetto piano e tamponature in calcestruzzo armato; e la Tradizione: con il tetto a due falde in laterizio, marcapiani e cornici alle finestre. All’interno sono presenti vani scale dall’interessante disegno architettonico moderno.

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Uno dei vani scala dell’ex “Sanatorio” di Tresigallo.

Campo Sportivo

Nome attuale: Campo Sportivo
Nome originale: Campo Sportivo

Città: Tresigallo (FE)
Indirizzo: via Dello Sport n. 2

Anno di realizzazione: 1937 – 1939
Progettista: ing. Carlo Frighi su idea di Edmondo Rossoni
Committenza: pubblica
Stile architettonico: Razionalista – Littorio monumentale

Interno visitabile: si
Note: il Campo Sportivo è inserito in un percorso dedicato in questa guida
vincolo di Soprintendenza – rilevanza storico artistica
la scritta rossa è dipinta sulla parete

Il monumentale ingresso al Campo sportivo di Tresigallo.

L’ingresso del Campo Sportivo di Tresigallo ci trasporta, come un Cinegiornale in bianco e nero, alle monumentalità che il regime volle attribuire agli edifici pubblici dopo il 1936. In quell’anno, dopo le conquiste coloniali, Roma si trasformò da capitale del regno d’Italia a capitale dell’impero fascista. Il Razionalismo si fuse alla monumentalità creando un Classicismo semplificato che tanto piacque a Mussolini e ai gerarchi. E’ quello stile architettonico che vogliamo chiamare Littorio monumentale.

L’ingresso monumentale al “Campo Sportivo” di Tresigallo in una immagine del secondo dopoguerra.

Nella sua linearità e apparente semplicità l’accesso al “Campo Sportivo” di Tresigallo sprigiona una folta e colta simbologia. Innanzitutto la romanità vagheggiata dal duce: un’ispirazione esaltata dalla somiglianza con l’arco trionfale di Costantino del IV secolo. E poi la presenza garante e ammonitrice dello Stato fascista, il grande valore dello sport, la potenza dell’impero, la modernità. La pianta tondeggiante, che va ad assecondare la rotatoria stradale, vuole inoltre sottolineare l’accoglienza di un luogo dedicato ai giovani e all’esaltazione del fisico. Si tratta quindi di una costruzione dal grande valore rappresentativo. Non si può inoltre dimenticare che questa splendida struttura fu l’ultima che Rossoni riuscì a realizzare del personale “progetto” di rifondazione della città prima di essere licenziato dal duce dall’incarico di Ministro. Per questo, probabilmente, simboleggia più di altre il carattere personale del gerarca tresigallese. La sua posizione in un importante e frequentato snodo stradale ne sottolinea le intenzioni propagandistiche.

L’accesso al “Campo Sportivo” di Tresigallo.

Nello stesso volume della costruzione furono ricavati i vani per la biglietteria e per la gestione delle luci del campo. La struttura del colonnato e degli architravi è in calcestruzzo armato. L’esterno è nobilitato da lastre in marmo Travertino. La copertura è piana. Con il restauro le scritte “Campo Sportivo” è “Cassa” sono state colorate di rosso direttamente sulla pietra come nella versione originale.

Domus Tua

Nome attuale: (appartamenti privati)
Nome originale: Domus Tua (sala da ballo)

Città: Tresigallo (FE)
Indirizzo: viale Giuseppe Verdi n. 30

Anno di realizzazione: 1937
Progettista: geom. Orlando Mezzadri e ing. Carlo Frighi
Committenza: pubblica
Stile architettonico: Razionalista/Littorio

Interno visitabile: no
Note: la Domus Tua è inserita in un percorso dedicato in questa guida
vincolo di Soprintendenza – rilevanza storico artistica
rivestimento in mattoni greificati.

La ex “Domus tua” di Tresigallo in una immagine moderna.

Tre fasci littori posti sull’entrata principale accoglievano i tresigallesi e gli abitanti dei paesi vicini che arrivavano alla “Domus Tua” per ballare. L’edificio fu infatti per molti anni il luogo destinato alla musica più famoso e frequentato della zona. Fu collocato sulla piazza Risorgimento in angolo con viale XXVIII ottobre (data della marcia su Roma) e gli fu assegnato un fronte a pianta rotondeggiante in accompagnamento al tracciato della rotatoria che sulla stessa ellisse accoglieva la Scuola elementare e il coreografico ingresso al Campo sportivo. Sul fronte la torre littoria testimoniava la dominante presenza del partito Fascista nella vita di ogni giorno, anche nei momenti di svago. La sala da ballo confinava con l’albergo “Domus tua”, attuale casa di riposo per anziani. Di frequente i due locali collaboravano nella gestione di matrimoni e ricevimenti.
Dal 1942 le sue sale furono utilizzate come centro di accoglienza dei feriti. Negli anni ’90 un incendio distrusse la sala da ballo. Sull’area di risulta e sul terreno retrostante fu costruito il moderno edificio residenziale ora presente. Recentemente l’immobile ha ospitato anche un B&B.

La sala da ballo “Domus tua” di Tresigallo (a sx) in un’immagine d’epoca. A destra la “Scuola elementare”.

Inizialmente disegnata dal geometra Orlando Mezzadri nella metà degli anni ’30, la “Domus Tua” fu in seguito perfezionata da Carlo Frighi, l’ingegnere locale più importante. Per lui, tecnico favorito di Edmondo Rossoni, ci fu il compito di dirigere la nascita della nuova città e di progettare la quasi totalità degli edifici pubblici. L’interessante progetto porta un disegno in stile Razionalista arricchito però da cornici e modanature. L’immobile ospitò il bar-caffetteria, alcune camere-pernottamento, l’appartamento del custode, gli spazi di servizio e la sala da ballo. Sul retro era presente un’area per gli eventi estivi. La torre accolse le scale per il piano superiore, ma la sua notevole altezza propone un significato essenzialmente simbolico-rappresentativo.

La ex “Domus tua” di Tresigallo. Prospetto su via Del Mare.

La struttura portante è in mattoni. Tra i materiali riscontriamo la pietra, il legno delle scale di servizio, il calcestruzzo armato. Il latero-cemento per i solai. L’esterno presenta un interessante rivestimento in mattoni greificati che simulano la ceramica. I vetri delle finestre in origine erano opalini.

Asilo il Prato

Nome attuale: Asilo nido il Prato
Nome originale: Casa della Madre e del Bambino

Città: Cesena
Frazione: ambito urbano
Indirizzo: viale Carducci 65

Anno di realizzazione: 1937
Progettista: Municipio di Cesena – Ufficio tecnico
Committenza: Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ONMI)
Stile architettonico: Razionalista

Interno visitabile: no
Note: sulla facciata è ancora visibile la traccia della scritta CASA DELLA MADRE E DEL BAMBINO

L’ex Opera Nazionale Maternità e Infanzia, oggi “Asilo Il Prato” di Cesena.

L’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ONMI) era un ente assistenziale nato durante il regime fascista grazie ad una Legge del 1925. Fu fondato per la tutela e la protezione di madri e bambini in difficoltà. Il programma dell’ONMI, teso tra l’altro ad attenuare l’alto tasso di mortalità infantile, prevedeva che in ogni comune sorgessero un consultorio materno e un ambulatorio ostetrico per visite e i controlli e che fossero realizzati asili nido per l’assistenza ai bambini. L’ente, divenuto “inutile”, fu sciolto nel 1975. I suoi compiti passarono ai servizi di assistenza sanitaria e il patrimonio fu trasferito alle provincie e ai comuni.

ONMI, la Casa della Madre e del Bambino di Cesena. Immagine del 1937.

A Cesena la costruzione della “Casa della Madre e del Bambino” iniziò nel 1937. Fra le più alte e più nobili realizzazioni del Regime – scrive il propagandistico giornale fascista locale – la protezione della maternità e dell’infanzia è forse quella che tocca più direttamente il cuore del popolo. Ciò, precisa “Il Popolo di Romagna”, è ancora più vero in città come Cesena in cui la manodopera femminile trova largo campo d’impiego. Il terreno per l’edificazione fu donato dal Comune.

La scritta “Casa della Madre e del Bambino” ancora visibile sulla facciata dell’asilo Il Prato di Cesena.

Il progetto, realizzato dall’Ufficio tecnico comunale, segue lo stile Razionalista. Nel tempo sono state apportate alcune modifiche, nonostante ciò è ancora facilmente riconoscibile la struttura originale. Il tetto piano è stato sostituito con una copertura a due falde e sul lato Ovest è stato realizzato un ampliamento. Sulla facciata principale è ancora visibile la traccia della scritta “CASA DELLA MADRE E DEL BAMBINO”. Le lettere in rilievo furono staccate non prima degli anni Settanta.

Ex Casa del Popolo e del Lavoro

Nome attuale: Ex Casa del Popolo e del Lavoro
Nome originale: Casa del popolo “Derno Varo” e Camera del Lavoro “Luigi Cacciatore”

Città: Cesena
Frazione: ambito urbano
Indirizzo: viale Carducci, 79, 81

Anno di realizzazione: 1948
Progettista: Nando Giuliucci (socio della Casa del Popolo)
Committenza: Cooperativa Casa del Popolo di Cesena
Stile architettonico: Novecentista con richiami al Razionalismo

Interno visitabile: Su richiesta
Note:

La ex Casa del Popolo e del Lavoro di Cesena, già Casa del popolo “Derno Varo” e Camera del Lavoro “Luigi Cacciatore”
La “Camera del Lavoro” di Cesena in un’immagine degli anni Ottanta.

La Casa del popolo “Derno Varo” e Camera del Lavoro, oggi palazzina Unipol, possiede una storia chiaramente in antitesi col fascismo. Nonostante sia stata realizzata nel secondo dopoguerra, il suo disegno architettonico richiamava però linee riconducibili ad uno stile Novecentista e Littorio cari al regime.
Nell’area dove sorge l’edificio, fino alla Seconda guerra mondiale era presente una casa di proprietà privata. Nel 1929 era di proprietà della Società Popolare Edilizia Cesenate. Nell’immediato dopoguerra simpatizzanti e aderenti al Partito Comunista Italiano acquistarono il fabbricato per realizzare un circolo. Nel 1948, grazie al lavoro volontario e a sottoscrizioni, fu completato il primo piano e la predisposizione al secondo. La Casa del Popolo, organizzata in cooperativa, ospitava una sezione del PCI e un circolo della FGCI (Federazione Giovanile Comunista Italiana)

Inaugurazione della “Camera del Lavoro” di Cesena. 1952.

Nel 1952 l’incompleto piano superiore fu ceduto alla Camera del Lavoro che ne ultimò i lavori. Il 29 giugno inaugurò i propri locali alla presenza del segretario nazionale Giuseppe Di Vittorio e di quello provinciale Quinto Bucci. Dal 1954 la struttura divenne anche sede del Comitato comunale del Pci. L’aspetto attuale dell’edificio è dovuto ad una ristrutturazione recente. L’intervento, pur lasciando inalterato l’aspetto volumetrico, è andato a modificare il disegno della facciata. Sono state eliminate le finestre dei corpi laterali e sono state sostituite quelle a nastro verticali della parte absidale con infissi a vani singoli. E’ stato eliminato il caratteristico balcone al primo piano che svolgeva anche la funzione di tettoia d’ingresso. Sono inoltre scomparse tutte le cornici alle finestre spingendo l’aspetto attuale dell’edificio verso un più pulito e piacevole Razionalismo.

Madonna delle Rose quartiere

Nome attuale: quartiere Madonna delle Rose
Nome originale: Borgo Cavour, zona Est

Città: Cesena
Frazione: ambito urbano
Indirizzo: area compresa tra corso Cavour e via Pola, tra viale Oberdan e Viale Carducci

Anno di realizzazione: 1912-1930 circa, ampliamento anni ’40 da via Pola fino a via Angeli
Progettista: ing. D. Angeli (Piano Regolatore 1876), ing. U. Belletti (varianti 1908-1910-1912) Ufficio Tecnico comunale
Committenza: Comune di Cesena
Stile architettonico: edifici in stile Eclettico e Liberty

Interno visitabile: quartiere di edilizia residenziale privata
Note: il nome del quartiere deriva da una chiesa in stile tardo Barocco ancora presente

Il nascente quartiere Madonna delle Rose sul Piano regolatore del 1883. Stralcio. Elaborazione grafica.
Il quartiere Madonna delle Rose nella Pianta topografica di Cesena del 1936. Stralcio. Elaborazione grafica.

Il pregevole quartiere Madonna delle Rose trova origine da uno studio urbanistico avviato nel XIX secolo. Si tratta di una pianificazione che ottenne notevole sviluppo già nella prima metà del Novecento.
La città di Cesena può vantare un progetto di Piano regolatore del 1873. Sono proprio di quell’elaborato tecnico, redatto dall’ingegner D. Angeli dell’Ufficio tecnico comunale, le prime pianificazioni territoriali oltre le antiche mura. Nello studio si nota una griglia a maglie regolari, parallela all’asse ferroviario, ubicata tra il centro storico e la ferrovia a ovest di Borgo Cavour. Con le modifiche apportate all’elaborato nel 1876 la “lottizzazione” venne estesa anche all’area a est di Borgo Cavour (il quartiere in esame). Il Piano, modificato più volte, fu adottato nel 1883 per essere poi ampliato nel 1885. Le sue varianti più significative sono del 1908, 1910 e 1912. In particolare nel 1908 furono rese edificabili alcune aree precedentemente a valenza pubblica. Rimase vigente fino alla Seconda guerra mondiale.

Una villetta del quartiere Madonna delle Rose.

Nel 1910 si osservano una griglia stradale più fitta della precedente e l’individuazione definitiva dei fabbricati scolastici lungo il viale Carducci. Stava nascendo il quartiere Madonna delle Rose, un’area che deve il proprio nome alla presenza dell’omonima chiesa in stile tardo Barocco. Con la variante del 1912 su progetto dell’ing. Belletti (capo dell’Ufficio Tecnico), si stabilirono con esattezza i tracciati di via Leonida Montanari, via Pietro Turchi, e furono subordinate le nuove concessioni per costruire. Gli interventi residenziali del nuovo insediamento vennero incentivati dall’Amministrazione talvolta attraverso cessioni gratuite di aree o sovvenzioni a fondo perduto.

Una villetta del quartiere Madonna delle Rose.
Una villetta del quartiere Madonna delle Rose.

Nel 1922, su “Cesena, rivista mensile del Comune”, l’ingegner Belletti descrive con orgoglio l’area di Madonna delle Rose affermando che la vasta zona del piano regolatore, compresa tra il Viale Carducci e la linea ferroviaria, col suo nuovo reticolato di strade alberate, larghe, fiancheggiate da comodi marciapiedi, restò destinata alle nuove fabbriche e in parte ne è già coperta. In essa si alterneranno le casette linde, civettuole dell’edilizia, contornate da aiuole e fiori. Ancora oggi il quartiere, che presenta una bella gamma di villette del Novecento, risulta particolarmente ambito.

Madonna delle Rose, la chiesa Tardo Barocca da cui deriva il nome del quartiere. 1915 – 1920.

Casa del Merletto

Nome attuale: Circolo culturale
Nome originale: Casa del Merletto o Casa del Ricamo, poi Circolo Amici

CittàTresigallo (FE)
Indirizzo: viale Giuseppe Verdi n. 18

Anno di realizzazione: 1935
Progettista: Carlo Frighi su idea di Edmondo Rossoni
Committenza: SERTIA
Stile architettonico: Modernista – Littorio con richiami a soluzioni razionaliste – Eclettismo

Interno visitabile: su richiesta
Note: la Casa del Merletto è inserita in un percorso dedicato in questa guida vincolo di Soprintendenza – rilevanza storico artistica

La “Casa del Merletto” di Tresigallo. Nel dopoguerra Circolo Amici.

In via XVIII ottobre (data della marcia su Roma) sul fronte di quello che oggi è viale Giuseppe Verdi a Tresigallo, durante il Ventennio furono costruiti numerosi edifici pubblici. Tutti portano uno stile che rimanda alle scelte architettoniche caratteristiche del periodo. I prospetti, quasi sempre suggeriti dal ministro dell’Agricoltura Edmondo Rossoni, furono nella maggior parte firmati da Carlo Frighi, l’ingegnere di fiducia del potente gerarca tresigallese. Troviamo la Scuola Elemetare, la Caserma dei Regi Carabinieri, la “Scuola del Merletto”, il famoso portico che conduce a piazza Italia, l’albergo Italia, la casa della Madre e del Bambino, l’albergo Domus Tua, la sala da ballo Domus Tua e, a chiudere la quinta, il Campo Sportivo con il monumentale ingresso. Nell’operazione di ammodernamento e industrializzazione del vecchio borgo ferrarese, il potente ministro spinse per accelerare i tempi di completamento dei lavori degli edifici pubblici e degli interventi urbani. Era consapevole, Rossoni, che l’opera di rifondazione della città, lontana dalle approvazioni di Mussolini e dello Stato, non sarebbe durata a lungo. E che le ingenti somme da lui procurate sarebbero venute a mancare. E così fu.

Iniziata nel 1934 e terminata nel ’35, la “Casa del Merletto” fu uno dei primi edifici realizzati a Tresigallo. Doveva essere la sede di una scuola di cucito per le ragazze madri e disoccupate, un luogo pensato per offrire opportunità didattiche propedeutiche all’inserimento nel mondo del lavoro. Fu di proprietà della SERTIA, la società fondata dallo zio di Rossoni per gestire i flussi finanziari, le costruzioni e gli espropri dell’enorme “cantiere Tresigallo”. Interessante è la presenza simile e complementare, appena oltre la strada, della “Casa della Madre e del Bambino” dell’ONMI. Il prospetto della “Casa del Merletto” appare legato a molti aspetti costruttivi tradizionali e il tentativo di risolvere l’esigenza di modernità viene parzialmente risolto con l’utilizzo di due pesanti torri cilindriche. Alla torre di destra è stata applicata una finestra a nastro verticale in ferro che richiama il Razionalismo e nello stesso concetto troviamo l’assenza di cornici nelle aperture del primo piano e la leggerezza delle piccole tettoie a sbalzo in calcestruzzo armato degli ingressi. Il tetto è però a due falde in materiale tradizionale. La conformazione delle coperture delle due torri viste dall’alto ricordano quelle di un piccolo castello e trasportano di fatto l’edificio in un ambito legato all’Eclettismo. Sulla torre di sinistra trova posto il balconcino/arengario, mentre quella di destra contiene la scala che porta all’unico piano superiore. Nel dopoguerra l’immobile fu acquistato del Circolo Culturale Amici che ne fece la propria prestigiosa sede. Attualmente è vuoto.

La struttura portante è in laterizio e i solai sono in latero cemento. Il tetto a falde è coperto in cotto. Ricorrente nei pavimenti è la Palladiana.

S. Apollinare e portico

Nome attuale: Chiesa di Sant’Apollinare
Nome originale: Chiesa di Sant’Apollinare

CittàTresigallo (FE)
Indirizzo: piazza Italia n. 10

Anno di realizzazione: XII secolo, facciata settecentesca, restauro stilistico 1937
Progettista: Carlo Frighi (restauro)
Committenza: pubblica
Stile architettonico: Classicismo

Interno visitabile: si
Note: S. Apollinare e il portico sono inseriti in un percorso dedicato in questa guida
vincolo di Soprintendenza – rilevanza storico artistica.

La chiesa di S. Apollinare e il portico di piazza Italia a Tresigallo.
La facciata della chiesa di Tresigallo.

Il nucleo più antico di Tresigallo è rappresentato dalla chiesa di S. Apollinare. La pieve, citata in documenti del XI secolo, giunse al Novecento con sembianze settecentesche, ma del suo disegno stilistico oggi non troviamo praticamente nulla. Gli interni sono stati modificati negli anni Sessanta, ma già nel 1937 l’immobile sacro fu oggetto di interventi sostanziali che ne stravolsero completamente la facciata, il sagrato e le aree limitrofe. Tale intervento fu pianificato da Edmondo Rossoni, potente ministro dell’Agricoltura, nell’ambito della sua opera di rifondazione della città di Tresigallo, e porta la firma dell’ingegner Carlo Frighi, tecnico di fiducia dello stesso gerarca fascista. Con l’intervento urbanistico del ’37 fu definita la fisionomia di piazza Italia realizzando, tra l’altro, il loggiato che oggi raffigura una delle strutture più rappresentative della città. Quel porticato realizzato in “moderno” stile Neoclassico ha contribuito a forgiare per Tresigallo il marchio turistico di “Città metafisica”.

La facciata della chiesa è stata completamente trasformata. E’ stata rivestita e le sono stati applicati un nuovo portale e alcuni bassorilievi che raccontano scene di vita del vescovo e martire Apollinare. Il loggiato è stato realizzato sul perimetro del sagrato addossandolo in parte all’edificio dell’asilo. L’elegante porticato prosegue con un interessante percorso curvilineo su via Giuseppe Verdi dove si affacciano alcune attività pubbliche. Alla sommità della struttura sono presenti significative formelle che nell’immagine contengono una vasta iconografia delle antiche attività produttive del territorio: la pesca e l’agricoltura, senza però tralasciare diversi aspetti legati alla guerra.

Particolare del fregio in formelle che sovrasta il loggiato di piazza Italia.

Sempre su piazza Italia si affaccia l’Asilo infantile, un edificio costruito nel 1926 utilizzando parzialmente uno stabile esistente. Anche l’asilo fu rivisitato nello stile con l’intervento urbanistico del ’37. Di estremo interesse è il terrazzino che sostiene a uso di parapetto un altorilievo a comporre il “Sacrario ai Caduti”. La scritta sottostante recita: Il sacrificio degli Eroi arde perenne. Completano l’impianto iconografico la data del XIV EF (1936) delimitata da due gladi e alla sommità dell’ingresso/torre littoria un libro aperto è affiancato da due pale da lavoro e da due fucili.